Androni-Sidermec, Mattia Viel: “In futuro mi vedo un buon ultimo uomo. I giovani riscoprano la pista”
Nell’ambito della rubrica I Volti Nuovi del Gruppo, che riproporremo a partire da domani dando spazio ai neoprofessionisti del 2019, abbiamo intervistato in esclusiva Mattia Viel. Dopo due periodi da stagista, nel 2015 e nel 2018, il 23enne torinese ha compiuto il grande salto con la maglia della Androni-Sidermec, con la quale ha già debuttato alla Vuelta al Tachira favorendo la volata vincente di Marco Benfatto nella prima tappa e piazzandosi sesto nella terza, con arrivo a San Cristoba, dove, complice la foratura del velocista designato da Gianni Savio, si è trovato a fare corsa per sé provando ad anticipare lo sprint di gruppo. Proprio quello di apripista di lusso è il ruolo che l’ex Holdsworth ci ha confidato poter essere quello a lui più congeniale in futuro.
“So bene che il ciclismo è diventato ormai una lotta per la sopravvivenza, nella quale bisogna trovarsi presto un ruolo e riconoscere le proprie possibilità – racconta Viel – Stando alle regole della squadra, mi piacerebbe diventare un buon ultimo uomo per le volate. Se proprio dovessi fare un nome, direi che mi piacerebbe diventare ciò che è oggi Maximiliano Richeze (Deceuninck-Quick Step), il migliore tra gli ultimi uomini e uno che sa togliersi qualche soddisfazione per sé. Visto che non sono così veloce per pensare di impormi in uno sprint a ranghi compatti o forte in salita, sarebbe bello poter sfruttare qualche occasione in fuga perché dispongo di un discreto spunto, levigato col lavoro in pista, e posso regolare i gruppi ristretti”.
Quello con la pista è un legame viscerale. Storia di sacrifici, rinunce, dolori e gioie. La più grande il 24 luglio scorso, quando nella sua Torino si è preso la Sei Giorni di Torino in coppia con l’australiano Nick Yallouris. Un trionfo che proprio domani gli permetterà di scolpire ancor di più il suo nome nella storia del Velodromo Francone, del quale diventerà testimonial: “Mi passa in mente in un secondo il film della mia vita. Sono nato ciclisticamente con quel velodromo, vincere la Sei Giorni lì è stato sensazionale. Custodisco gelosamente una foto che venne scattata lì con Marco Villa e che volli a tutti i costi, e ora lui è diventato il mio commissario tecnico. Vincere l’anno scorso dove si era imposto lui è stato qualcosa di incredibile. Diventare testimonial del velodromo, aiutare i ragazzini ed essere uno stimolo in più, è invece motivo di grande orgoglio. Credo che sarò più imbarazzato io di loro. Sono molto sensibile all’argomento pista, perché è una disciplina che fa bene. In Italia le strade sono pericolose, è meglio avvicinare i ragazzi alla pista che rappresenta un metodo sicuro per allenarsi e garantisce colpo d’occhio, oltre a formare il corridore”.
Le parole di Viel, studioso di lingue (ne parla correttamente quattro) e nuovo poliglotta del movimento, vanno però ben oltre il lato prettamente sportivo e i suoi 23 anni. Sono un tesoro da custodire, una fonte naturale di ricchezza. Dentro vi si annida l’essenza del ciclismo, le sue radici più profonde e quel lato romantico che solo il rispetto dei valori e la cultura del lavoro sanno infondere: “È lo specchio della vita, fatta di salite e discese e nella quale bisogna stringere sempre i denti. È fatica, voglia di fare e disciplina. Per me ha rappresentato una scuola di vita, ha accentuato quella passione che già girava in casa. Ora sta a me trovare la mia dimensione”.
Appuntamento a domani con l’intervista completa a Mattia Viel.
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